Scrissi di Fabio qualche giorno fa proprio su questo
blog.
Si trattava di una intervista che gli feci su questioni
legate all’arte, alla creatività e al processo creativo che ispira la sua
scrittura.
Breve ma intensa, come spesso accade quando si parla con
Fabio anche di argomenti apparentemente più leggeri.
Conobbi Fabio del tutto casualmente vedendo la serie
televisiva di Netflix dedicata alle vicende che caratterizzarono i primi
decenni della vita della comunità terapeutica per tossicodipendenti
Sanpatrignano.
La serie, ben fatta stilisticamente ed accattivante nella
narrazione scenica, poneva in luce, attraverso documenti filmati ed interviste
ai protagonisti che avevano vissuto nella comunità, i fatti che coinvolsero in
primis il suo fondatore Vincenzo Muccioli.
Partivo prevenuto: sapevo dalle cronache dell’epoca, quello
che era successo e quale alone avvolgeva un personaggio a tratti difficile,
enigmatico, antipatico, sempliciotto ma a volte supponente come Muccioli.
Dalle prime immagini tale opinione non mi abbandonò, anzi la
perplessità circa il continuare la visione stava aumentando.
Fino a quando entrò in scena Fabio. E tutto virò.
Nel senso che presto mi convinsi, sentendo le parole di
Fabio e come le pronunciava o argomentava, che il mio pregiudizio potesse in
qualche modo vacillare.
Ben inteso: la mia opinione su Muccioli e Sanpatrignano non cambiò radicalmente, ma ammisi che un giudizio viziato da preconcetti, fake
news e passaparola circostanziati, non potesse essere usato per osservare gli
eventi della vita, nel loro dispiegarsi, complessi ed articolati.
Dicevo di Fabio. Nelle interviste della serie televisiva
compariva seduto su un letto di una camera d’albergo anonima e spoglia e dalle
sue parole emergeva un vissuto fatto di vicende spesso drammatiche, di anni di
permanenza in comunità con diverse responsabilità ma anche di angoscianti
fughe.
Cantelli narrava con una “grana” che non poteva non
graffiare, come carta abrasiva, le mie emozioni e corde empatiche.
E poi lui: una postura sciamanica,
una magrezza Assoluta.
Pelle e ossa.
Quella pelle che è metafora di
confine adiposo con il mondo esterno, che a stento trattiene un Io invasivo che
trascende da e con ogni discorso.
Quell’osso che è sostanza primitiva,
arcaica che ci riporta ad una idea di morte immanente, Assoluta e comune ad
ogni esperienza umana.
Ma sono gli occhi, vivi ed attenti
che spesso si posano oltre l’interlocutore, capaci di inumidirsi di un velo di
lacrime quando i ricordi si fanno più grevi, che tengono insieme il tutto.
Un “memento mori vivente”, bruciante
ed intenso che cattura, coinvolge e non concede fughe.
Tutto questo Fabio Cantelli
Anibaldi ha tentato di metterlo nel suo Libro “Sanpa. Madre amorosa e crudele”.
Libro che ha ispirato la serie
televisiva, scritto ben 25 anni fa in tempi non sospetti: bello, scritto bene e
finalmente “non scorrevolissimo” inteso qui come pregio. Perché sulle pagine
bisogna spesso rifletterci, tornarci più volte per farle decantare nella nostra
frenesia della necessità di capire tutto e subito.
Mentre scrivo queste parole, dalla
finestra della mia casa di montagna si intravede uno splendido tramonto che riflettendo
sulle vette di roccia coperte di neve, colora di rosso intenso il panorama. Le
rocce assumono le sembianze di rosse braci che sotto la neve gelida delle alte
quote ardono di bruciante vividezza.
Mi piace accostare questa immagine
alle esperienze raccontate da Fabio nel libro.
Un giorno la neve si scioglierà ma
le braci vivide, ardenti riscalderanno per molto ancora il nostro bisogno di
tepore rassicurante.
Fabio Cantelli Anibaldi sarà ospite,
in un incontro con l’autore presso l’auditorium di Locate Triulzi (MI) del
quale riporto la locandina per i dettagli.
Io ci sarò e mi piacerebbe
incontravi.
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