venerdì 26 novembre 2021

Bacon e Burroughs . Una storia immaginaria


 

“Tangeri è uno dei pochi posti al mondo in cui, a patto che non ti dedichi a furti, assassinii o forme più o meno crude di violenza antisociale, puoi ancora fare letteralmente quello che vuoi” diceva William S. Burroughs che proprio nella città marocchina aveva base negli anni 50.

Certo, lui stava fuggendo da una condanna di omicidio formulata negli Stati Uniti che pendeva sulla sua testa. Una storia torbida, mai chiarita a fondo, che lo vedeva protagonista come esecutore della morte di sua moglie. Una passione per le armi, per l’eccesso visionario e per l’alcool e l’eroina.

Quella volta aveva puntato il suo fucile contro la moglie che si era prestata ad un’improbabile emulazione del gioco di Guglielmo Tell.

Una mela posta in testa alla giovane donna doveva essere il bersaglio.

Ma Bill, così lo chiamavano i suoi amici, non era Guglielmo Tell.

Mira scarsa, distorta da una potente bevuta.

Opps…colpita in pieno volto la moglie.

Nel solco di uno strisciante maccartismo fu facile per la Corte Americana formulare una condanna per omicidio… L’occasione era ghiotta: togliere di mezzo un tossico, omosessuale, scrittore scomodo e agita popolo.

Quindi via.

A Tangeri, dove potevi trovare affari loschi, sesso a buon mercato sia maschile che femminile, alcool a volontà e soprattutto droga: di ogni tipo e tanta.

Ma anche compagnia di amici, intellettuali, scrittori ed artisti.

Un popolo di sbandati, reietti in cerca di dimensioni alternative che potessero accogliere le loro menti febbrili, eccitate e creative. I migliori in quel periodo.

Tra loro Francis Bacon, pittore irlandese arrivato a Tangeri per seguire il suo amore, il suo compagno di letto e sbronze.

Un amore complesso, violento e criminale. Francis si vedeva spesso seduto al margine di un bistrot, in fondo alla kasbha principale. Pesto, con il labbro sanguinante e tumefatto dalle botte che il suo amore gli somministrava con eccessiva tenerezza.

Ubriaco, disperato tanto da radunare i suoi schizzi e dipinti dei ritratti di lui, lo stronzo che lo scopava senza amarlo, e dargli fuoco in piazza tra i bei ragazzi marocchini che lo commiseravano.

Posso immaginarli Bacon e Burroughs che radunavano i fogli che un refolo disperdeva nelle strette viuzze e chiedere un accendino a quel ragazzotto che appoggiato ad un muro li osservava divertito.

Lo stesso ragazzo che sarebbe finito nel loro letto, di un appartamento misero colmo di immondizia, bottiglie vuote e siringhe sporche.

Incombeva su quella cricca di artistoidi pazzi, incontenibili una guerra civile di liberazione.

Perché Tangeri era un porto franco dove tutti volevano comandare e nessuno quindi comandava e ciò era intollerabile per le forze governative marocchine.

Il gruppo si disperse negli anni, qualcuno resto in Marocco a vivere la sua miserabile vita, altri a raccogliere i frutti del successo in patria.

Burroughs e Bacon si rincontrarono spesso in Europa, portandosi appresso la notorietà che avevano conquistato a fatica.

Li accumunava, oltre che un passato ribelle e turbolento, una ricerca letteraria e pittorica che non smetteva di interrogare i limiti dell’Io, ovvero quella distorsione spinta in cui l’individuo perde la sua identità.

Fino a che grado di distorsione era disposto a sopportare un volto amato sprofondato nella follia, nell’odio, nella malattia, nella morte.

Dov’era posta la linea di demarcazione, la frontiera dove un “io” cessa di essere tale.

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