“Tangeri è uno dei pochi posti al mondo in cui, a patto che
non ti dedichi a furti, assassinii o forme più o meno crude di violenza
antisociale, puoi ancora fare letteralmente quello che vuoi” diceva William S.
Burroughs che proprio nella città marocchina aveva base negli anni 50.
Certo, lui stava fuggendo da una condanna di omicidio
formulata negli Stati Uniti che pendeva sulla sua testa. Una storia torbida,
mai chiarita a fondo, che lo vedeva protagonista come esecutore della morte di
sua moglie. Una passione per le armi, per l’eccesso visionario e per l’alcool e
l’eroina.
Quella volta aveva puntato il suo fucile contro la moglie
che si era prestata ad un’improbabile emulazione del gioco di Guglielmo Tell.
Una mela posta in testa alla giovane donna doveva essere il
bersaglio.
Ma Bill, così lo chiamavano i suoi amici, non era Guglielmo
Tell.
Mira scarsa, distorta da una potente bevuta.
Opps…colpita in pieno volto la moglie.
Nel solco di uno strisciante maccartismo fu facile per la
Corte Americana formulare una condanna per omicidio… L’occasione era ghiotta: togliere
di mezzo un tossico, omosessuale, scrittore scomodo e agita popolo.
Quindi via.
A Tangeri, dove potevi trovare affari loschi, sesso a buon
mercato sia maschile che femminile, alcool a volontà e soprattutto droga: di
ogni tipo e tanta.
Ma anche compagnia di amici, intellettuali, scrittori ed
artisti.
Un popolo di sbandati, reietti in cerca di dimensioni alternative
che potessero accogliere le loro menti febbrili, eccitate e creative. I
migliori in quel periodo.
Tra loro Francis Bacon, pittore irlandese arrivato a Tangeri
per seguire il suo amore, il suo compagno di letto e sbronze.
Un amore complesso, violento e criminale. Francis si vedeva
spesso seduto al margine di un bistrot, in fondo alla kasbha principale. Pesto,
con il labbro sanguinante e tumefatto dalle botte che il suo amore gli somministrava
con eccessiva tenerezza.
Ubriaco, disperato tanto da radunare i suoi schizzi e dipinti
dei ritratti di lui, lo stronzo che lo scopava senza amarlo, e dargli fuoco in
piazza tra i bei ragazzi marocchini che lo commiseravano.
Posso immaginarli Bacon e Burroughs che radunavano i fogli che
un refolo disperdeva nelle strette viuzze e chiedere un accendino a quel
ragazzotto che appoggiato ad un muro li osservava divertito.
Lo stesso ragazzo che sarebbe finito nel loro letto, di un
appartamento misero colmo di immondizia, bottiglie vuote e siringhe sporche.
Incombeva su quella cricca di artistoidi pazzi, incontenibili
una guerra civile di liberazione.
Perché Tangeri era un porto franco dove tutti volevano
comandare e nessuno quindi comandava e ciò era intollerabile per le forze governative
marocchine.
Il gruppo si disperse negli anni, qualcuno resto in Marocco a
vivere la sua miserabile vita, altri a raccogliere i frutti del successo in
patria.
Burroughs e Bacon si rincontrarono spesso in Europa,
portandosi appresso la notorietà che avevano conquistato a fatica.
Li accumunava, oltre che un passato ribelle e turbolento, una
ricerca letteraria e pittorica che non smetteva di interrogare i limiti dell’Io,
ovvero quella distorsione spinta in cui l’individuo perde la sua identità.
Fino a che grado di distorsione era disposto a sopportare un
volto amato sprofondato nella follia, nell’odio, nella malattia, nella morte.
Dov’era posta la linea di demarcazione, la frontiera dove un “io”
cessa di essere tale.
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