Quando uno spazio espositivo
viene riempito di contenuti, di istanze di senso e di visioni prospettiche,
esso si trasforma in quello che possiamo definire uno spazio critico di
riflessione, vivo ed esigibile.
Il tema trattato e la
questione di fondo sono purtroppo noti: il pianeta su cui viviamo ci sta
presentando un conto salato che difficilmente potremmo saldare. Un conto
costituito da più voci che delineano uno scenario apocalittico sotto gli occhi falsamente
innocenti di tutti: cambiamenti climatici, sfruttamento di risorse naturali,
deforestazioni, piani di sviluppo economico non sostenibili, guerre e crescenti
povertà.
Ecco l’Antropocene in tutto il
suo diabolico e problematico fulgore!
La connessione con il mondo
come la conoscevamo è saltata.
La fine dei mondi vuole
riferirsi ad una molteplicità di connessioni perdute, di ambiti riflessivi
alternativi, di un fare creativo che riconduce ad una domanda
finale:
che sia solo quello dell’arte contemporanea l’unico mondo ancora rimasto,
l’unico mondo dopo la fine del mondo?
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