venerdì 28 gennaio 2022

La coperta più calda


  

Questa è la storia di una ragazza tedesca che faceva l'infermiera, si chiamava Petra Schneider e lavorava nell'ospedale Roitzper nella cittadina di Holwerstein a dieci chilometri da Monaco.

La signorina, spinta dal fidanzato, aveva escogitato un modo abbastanza semplice per guadagnare soldi: a volte, quando una donna doveva partorire due gemelli, il primo lo dava alla madre e l'altro, facendolo passare per morto, lo consegnava al fidanzato Ralf Fischer impiegato nell'orfanotrofio Holtzpratt, due strade più in là.

"Ci servono i soldi, ti voglio sposare, saremo felici."

Lei, diciotto anni appena, ci volle credere.

Benchè immersa in questo piano folle, ogni bambino che sottraeva lo avvolgeva nella coperta più calda, lo alzava verso il cielo, lo guardava negli occhi, lo baciava sulla fronte e gli sussurrava "che tu sia felice".

La mattina del 7 marzo 1921 separò due gemelli monozigoti: Hans e Yaacov.

Hans finì fra le braccia di sua madre, una ragazzina tedesca biondissima e di buona famiglia sposata con un soldato ligio al proprio dovere.

Yaacov fu venduto ad una coppia di giovani sposi, tedeschi di religione ebraica, che non poteva avere figli, convinti di fare un'opera di bene.

Perché forse non tutti lo sanno ma in Germania i tedeschi ebrei erano più di 200.000.

I primi ad essere sterminati.

L' infermiera Petra (la sua agendina ritrovata lo confermerà) annotò che Hans e Yaacov erano come due gocce d'acqua.

Non solo indistinguibili per le fattezze ma ancor di più per le reazioni.

Verosimilmente gli stessi gesti, lo stesso modo di pensare, la stessa intelligenza, la stessa bontà d'animo, lo stesso carattere.

In pratica la stessa persona divisa in due.

Proprio così: la stessa persona divisa in due.

Hans visse immerso nell'amore cullato dai genitori, dai nonni e dagli amici.

I giocattoli di legno, gli orsacchiotti di pezza, le paste la domenica.

Per Yaacov era uguale.

Ma poi l'Olocausto.

Il padre di Hans, militare nazista, una volta spiegato al figlio chi era il nemico non dovette neanche indirizzarlo più di tanto verso il lavoro che avrebbe dovuto scegliere.

Nella sua realtà -l'unica che la vita gli aveva offerto- e spinto dall'amore per i suoi genitori, i suoi amici e i suoi simili, per difenderli, si iscrisse al partito e fu mandato a sedici anni appena a fare il soldato nel campo di concentramento di Dachau.

A questo punto è facile immaginare cosa successe.

Il fratello Yaacov, stessa età, strappato alla famiglia e deportato nello stesso campo di concentramento, seppure consunto nel fisico e svuotato nell'animo capì subito che sarebbe stata proprio la stanza delle docce a dargli la morte.

E capitò.

Un giovedi di gennaio, il 27, alle otto e cinquanta di mattina.

Yaacov fu l'ultimo degli ottocento esseri umani ad entrare in quell'enorme camera, la camera del male, posta di fianco ai forni crematori, per essere prima ammazzato e poi bruciato.

E a chiudere la porta spingendolo in malo modo, destino beffardo, fu proprio il gemello Hans.

Uno in divisa e in perfetta forma fisica, l'altro nudo, deperito e rasato a zero.

Non si riconobbero.

Però, in quella frazione di secondo in cui si specchiarono l'un l'altro negli stessi occhi la consapevolezza dell'anima fu uguale per entrambi.

Uno sarebbe morto dopo dieci minuti, completamente e l'altro ogni istante e inesorabilmente da quel momento in poi.

Entrambi ignorando che solo il caso non ha voluto che Hans fosse al posto di Yacoov e viceversa.

L' infermiera Petra non è mai esistita.

Così come non sono mai esistiti il fidanzato Ralf, l'ospedale Roitzper, l'orfanotrofio Holtzpratt, la cittadina Holwerstein e neanche questa storia.

Milioni di Hans e Yaacov credo di si.

Ancora oggi, forse, dentro ognuno di noi.

Monica Rossi

giovedì 20 gennaio 2022

Bowie tra finzione e realtà

 Questa è una storia in bilico su un confine.

Un inciampo che destabilizza e fa perdere l’equilibrio se non si presta cautela nel varcare la soglia.

E’ il confine tra realtà e finzione.

La cosa si complica quando siamo costretti a discernere in un mondo dove realtà e finzione si mescolano al punto che è quasi impossibile individuarne i lembi precisi dell’una e dell’altra.

Ci sono ambiti in cui questa difficoltà è più marcata.

Narrativa, linguaggio cinematografico e soprattutto arte ad esempio.

David Bowie ci andava a nozze con il mischiare le carte.

La sua conoscenza dell’arte di certo l’aiutava. Ma andiamo con ordine.

Nel 1995 usciva l’eclettico lavoro 1.Outside: una riuscitissima incursione nell’industial art rock e nel trip hop,in una cornice di citazioni artistiche pazzesca.

La storia si incardinava sulle vicende dell’art detective (alterego di Bowie) Nathan Adler alle prese con una indagine alquanto complessa .

Un passaggio del Diario di Nathan Adler ci introduce nell’argomento che mi interessa.

Eccolo:

Lo stesso Nicolas Serota ci ha giudicati, noi pesci piccoli del dipartimento, degni di un’esposizione alla Biennale di Venezia dell’anno scorso: tre stanze di testimonianze certe e studi comparati che hanno definitivamente provato come la vacca nel “Test dell’occhio innocente” di Mark Tansey non può discriminare tra il torello di Paul Potter, del 1647 (incidentalmente 300 anni giusti prima che io nascessi) e uno dei covoni dipinti da Monet nel 1890.

 

A cosa si riferisce Bowie quando parla di “Test dell’occhio innocente” di Mark Tansey ?

Narrazione della realtà o finzione artistica?

Entrambe.

E qui la faccenda si complica.

Aiutiamoci con la foto del quadro. Si perché quel quadro citato esiste, eccome.

 


 

Nel dipinto è rappresentata questa scena: nella sala di un museo è stata portata la tela del monumentale De Stier (Il giovane toro) di Paulus Potter (1647, al Mauritshuis di L’Aia). Di fianco al grande dipinto secentesco resta alla parete, nella sua dignitosa cornice, uno dei covoni di Monet (con tutta probabilità quello innevato del Museum of Fine Arts di Boston).

La scena prevede che la sala del museo si trasformi in un laboratorio e si popoli di camici bianchi e distinti uomini occhialuti,scienziati esperti delle reazioni che un bovide debba o possa esprimere di fronte ad una  mucca dipinta,forse la madre del giovane toro di Potter.

Una mucca in una sala di museo, di fronte a un dipinto appena svelato, può destare qualche preoccupazione: ma per ovviare a qualsiasi inconveniente c’è anche lo scopettone per, eventualmente, pulire.

The innocent eye test, è il titolo dell’opera di Mark Tansey (1981, al Metropolitan di New York) racconta questa storia con l’intento di deridere il fenomeno  della tradizione accademica da una parte, e simmetricamente di ragionare sul mito, della percezione pura (e naturale) dell’immagine, di contro alla percezione intesa come atto culturalmente connotato. Per i teorici questo è il punto: cosa vede un occhio innocente nell’incontro con uno sguardo dipinto? 

Perché il punto sta lì.

 E’ l’arte che ci guarda o siamo noi che guardiamo l’arte?

Non solo. 

La mucca che osserva innocente, da cosa sarà attratta?

 Dal covone di Monet (metafora del cibo) o il toro di Potter ( metafora del sesso) entrambi elementi legati alla sopravvivenza.

Se l’occhio innocente del Toro non vede nulla neanche l’occhio del bovino che guarda la tela dipinta è innocente.

Oppure l’innocenza dell’occhio consiste proprio nel fidarsi della rappresentazione pittorica.

E tuttavia nessuno saprà mai cosa vede la mucca, se vede se stessa, se vede un’altra mucca, se vede un dipinto che raffigura una mucca (la più improbabile delle ipotesi).

Il bovino quindi non discerne come dice Adler-Bowie come testimoniato dalle tre stanze colme di studi della Biennale di Venezia.

 

Tutto un gioco di realtà e finzione.

Ci si mette anche  la tecnica utilizzata dal contemporaneo Tansey che gioca con questo equivoco. Lui, pittore iperealista rappresenta una scena come se fosse presa da un documento scientifico vintage dell’ottocento.

 

Finzione e/o realtà, appunto.

Gioco di confini, di difficoltà di leggere un mondo impermanente.

Il nostro.

A noi forse scegliere.

lunedì 17 gennaio 2022

Corpus domini


 

CORPUS DOMINI

Dal corpo glorioso alle rovine dell’anima

dal 27.10.2021 al 30.01.2022

Consiglio la visione di questa bellissima mostra sul concetto di corpo nel mondo dell'arte.

Curata da Francesca Alfano Miglietti, illustre e seminale critica che si è sempre occupata dei " nostri corpi", con una attenzione particolare alla grande mamma della critica d' arte, la compianta Lea Vergine.

Il confine tra reale e immaginario è sempre meno riconoscibile, tanto da assorbire la realtà dentro uno schermo, come dimostra l’ossessiva presenza degli schermi nella nostra vita: schermi piatti delle televisioni e dei computer, dei videogiochi, degli smartphone.” afferma la curatrice, che prosegue: “Lo schermo annulla la distanza tra lo spettatore e la scena, lo invita a immergersi dentro, gli offre una realtà a portata di mano, ma su cui la mano non ha alcuna presa.”




La molteplicità della rappresentazione dell’essere umano attraverso l’esibizione del corpo e la sua sparizione conducono il visitatore in un viaggio attraverso il rapporto tra arte e corporeità.


111 opere – installazioni, sculture, disegni, dipinti, videoinstallazioni e fotografie – di 34 artisti riconosciuti a livello internazionale - alcune delle quali vere icone del contemporaneo, esposte per la prima volta in Italia, per raccontare la molteplicità della rappresentazione dell’essere umano.

Il titolo si riferisce alla scomparsa del ‘corpo vero’ a favore del ‘corpo dello spettacolo’: da un Corpo Glorioso - il corpo della consapevolezza, della ribellione, dell’alterità - al Corpo del Contemporaneo - da un lato nella sua declinazione di corpo della società dello spettacolo e dall’altro nelle sue forme più poetiche: il corpo dell’esodo, del lavoro, della moltitudine silenziosa. 


In circa mille metri quadrati di superficie si snoda un percorso espositivo che analizza l’insorgere nella contemporaneità di nuove forme di rappresentazione, ponendo l’attenzione sullo storico passaggio dal corpo vivo protagonista della Body Art al corpo rifatto dell’Iperrealismo, sul mutamento dei canoni estetici della rappresentazione, e sulla potente evocazione dell’individuo mediante i suoi resti, le sue tracce, i suoi rivestimenti. Un racconto che vuole riflettere sulla crisi dell’esperienza sensoriale provocata dall’avvento di una cultura che propone corpi perfetti, modificati, ripensati, prodotti e ri-prodotti ed essenzialmente finti. 



domenica 9 gennaio 2022

Cambiamenti radicali

Quando prendiamo in considerazione il concetto di cambiamento cosa intendiamo veramente? La cosa a che fare, ad esempio con i "buoni propositi"? Siamo sempre pronti a  dire - da mani mi metto a dieta, da domani mi iscrivo alla palestra sotto casa, da domani  starò di più con mia moglie, ecc-

Ma è questo il cambiamento che ci evolve, ci fa più consapevoli?

E' forse, invece, un atteggiamento, una visione prospettica che illumina il quotidiano rendendolo reale, privo di incrostazioni egotiche a cui siamo aggrappati perchè ricerchiamo incessantemente una identità alla quale aderire.

Siamo esseri condannati alla costante ricerca della felicità e non ci curiamo dell'abbandono del proprio edificante Io.

Si, il cambiamento è in definitiva un abbandono senza sentirci orfani.

Ripoto un brano di Jiddu Krishnamurti tratto dal libro "La rivoluzione anteriore"

Qualsiasi tendenza o talento che produca isolamento, qualsiasi forma di auto-identificazione, per quanto stimolante possa essere, distorce l’espressione della sensibilità e crea insensibilità.

La sensibilità viene offuscata quando si dà importanza al “me” e al “mio” – io dipingo, io scrivo, io invento.

Solo quando siamo consapevoli di ogni movimento del nostro pensiero e dei nostri sentimenti nelle relazioni con le persone, con le cose e con la natura, la mente è aperta, flessibile, non intralciata da esigenze auto-protettive e desideri; e soltanto allora c’è sensibilità al brutto e al bello, non ostacolata dal sé.

La sensibilità alla bellezza e alla bruttezza non deriva dall’attaccamento, nasce con l’amore, quando non ci sono conflitti creati da noi stessi.

Quando siamo poveri interiormente, indulgiamo in varie forme di esibizione esterna, con la ricchezza, il potere, i possessi.

Quando i nostri cuori sono vuoti collezioniamo cose.

Se ce lo possiamo permettere, ci circondiamo di oggetti che riteniamo belli, e siccome gli attribuiamo enorme importanza, siamo responsabili di molta infelicità e distruzione.

Lo spirito acquisitivo non è amore per la bellezza, sorge dal desiderio di sicurezza ed essere sicuri significa essere insensibili. "





sabato 8 gennaio 2022

Shiny

 Shiny, shiny, shiny boots of leather

Whiplash girl child in the dark

Comes in bells, your servant, don't forsake him

Strike, dear mistress, and cure his heart




LA FINE DEI MONDI AL CASTELLO VISCONTEO DI ABBIATEGRASSO

  5-10 APRILE 2022 / LA FINE DEI MONDI AL CASTELLO VISCONTEO DI ABBIATEGRASSO   MARCO BELLOMI      21 Marzo 2022      0 Quando uno spazio es...