Il nostro
destino, forse è quello di restare senza risposte.
Quelle
risposte definitive che ci rassicurano, ci tranquillizzano e ci assecondano edificando
il proprio confort.
Si tratta di
essere disposti ad una riduzione di una distanza, di una misura della cui
natura non siamo propriamente artefici.
È questo il
nocciolo della questione, del vulnus che ci attanaglia alla gola togliendoci il
respiro.
Da questa sensazione
di soffocamento ci si può liberare, previo essere disposti a perdere qualcosa.
Allora cerchiamo
di ridurre il danno, la distanza che ci separa dall’evento dell’opera d’arte. Dico
di quell’evento che si manifesta, nostro malgrado, quando guardiamo un quadro,
una scultura, in definitiva un’immagine.
Tranquilli.
Non è colpa nostra. Non ce la siamo cercata.
Una via di
fuga veloce, breve e senza apparenti conseguenze esiste: l’immersione nel
sentimentalismo, dell’appagamento retinico e del “questa è arte che arriva al
cuore”.
Dicevo dell’atto
di guardare un’opera d’arte e dallo spaesamento che proviamo perché non siamo
in grado di sostenere lo sguardo indagatore che l’opera ci rimanda.
L’opera, il
suo evento che ci sovrasta lo fa partendo dal suo statuto che è sempre frutto
di un trauma.
Quel trauma
che deriva dall’impossibilità di riprodurre la realtà, cosa sempre distinta dal
mezzo che ne evidenzia la sua inconsistenza, la sua fugacità: l’opera è una
cosa, il reale un’altra. In mezzo una spaccatura insanabile, devastante.
È questo
trauma che non sopportiamo, che non siamo disposti ad accettarlo perché reale
nella sua irrealtà di linguaggio, di rappresentazione.
Se non
pratichiamo questo atteggiamento, saremo costretti alla postura, al
rappresentativo, all’artigianale e decorativo.
L’arte ci impone
questo sforzo, questo passaggio obbligato.
Si tratta di
un superamento di una soglia, oltre la quale rischiamo di trovare l’abisso.
Il nostro compito
è avanzare sull’orlo di questo abisso, in un gioco di equilibrismo
pericolosissimo.
Arte
bastarda, verrebbe da dire.
Ho visto e
detto di peggio nella mia vita, tutto sommato.
Un orizzonte
di nulla non mi spaventa.