lunedì 15 novembre 2021

Segni



 Ci sono segni di una potenza inarrivabile, dove altrimenti gli schemi di una mente ordinaria non potrebbero concedere  alcuna possibilità interpretativa semantica.

Segni che delimitano, che confinano un area e creano uno spazio sacro.

Oltre il gesto - segno creativo che costituisce l'opera, c'è la determinazione di uno spazio, di un luogo dove l'entrata implica l'attraversamento di una soglia, un inciampo.

Oltrepassare quella  "zona tarkovskijana " implica l'accettazione di un non ritorno.

Bisogna, in altri termini essere disposti ad assistere al funerale del proprio ego per poter sopravvivere e cogliere questa epifania.

Lì avviene l'incontro con l'altro, quell'altro che riconosci perché ti abita.

Solo allora puoi raccogliere quell'evento dell'opera che ti annienta e schiaccia come corpo residuale, di risulta.

Accade di fronte a lavori di Artisti che bisogna affrontare con l'occhio umile del piccolo ossevatore che mette in gioco le proprie certezze e paure.

È la forma del non detto che ci fa critici, costruttori di universi creativi e improbabili. Insaziabili d'arte e di gesti inebrianti.


opere di 

Berlinde de Bruyckere

Chen Zeng

dettagli

 


Qual è l’emozione che ci colpisce e cattura mentre osserviamo i dettagli di un’opera d’arte? Quale intimità, prossimità emozionale ci permette di connetterci con il proprio Sé?

Credo che sia una questione di atteggiamento, non di postura intellettualistica, quella che ci fa percepire il senso del nostro guardare.

Io quando osservo un quadro, una scultura, una istallazione artistica sono consapevole di affrontare una lettura. Proprio come un libro.

E di questo “libro” sono i dettagli che mi intrigano, che dicono di me e della mia intimità elettiva.

Se di un libro mi limitassi all’attrazione retinica della copertina, delle dimensioni del volume, mi sottrarrei al ri -significato che solo le frasi, le singole parole, in altre parole i dettagli, mi permetterebbero di entrare in un altro e nuovo luogo che è luogo di relazione.

La stessa cosa avviene di fronte all’immagine. Se mi limitassi ad una visione d’ insieme, superficiale e veloce, quel luogo di cui dicevo mi si chiuderebbe e probabilmente la domanda del senso resterebbe inevasa.

Ebbene sono proprio i dettagli che significano l’opera, quei piccoli luoghi in cui si apre uno spazio che fagocita, che destabilizza: spesso non è terra sicura in cui si spera di approdare per dare sfogo alle proprie insicurezze.


Personalmente, soprattutto da artista, sono i particolari di un’opera che, come un magnete potente, mi attraggono e riconosco che la visione totale, d’insieme non è il mio approccio primario.

Mi illudo di osservare la totalità del dispiegamento dell’opera, ma è il dettaglio che in realtà mi trovo a scrutare cogliendone la forza creativa che mi apre a nuovi spazi espressivi.

Mi trovo spesso a ripercorrere posture ridicole di fronte ai quadri e là dove la situazione me lo consente, mi avvicino alla superficie con il naso quasi appiccicato al quadro o scultura.

Ho visto altre persone in simili situazioni e, al netto di chi ha problemi visivi fastidiosi e imbarazzanti atteggiamenti, scopro una tribù di curiosi emotivi, di ricercatori della percezione altra.

Lo sguardo in sé non è il facilitatore della connessione, ma agisce una scomposizione del mondo che conosciamo e percepiamo, liberando i dettagli e trasformandoli in una altra storia ricca di immaginazione che ci parla dell’evento dell’opera, della sua immanenza e grandezza.

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