Qual è l’emozione
che ci colpisce e cattura mentre osserviamo i dettagli di un’opera d’arte?
Quale intimità, prossimità emozionale ci permette di connetterci con il proprio
Sé?
Credo che
sia una questione di atteggiamento, non di postura intellettualistica, quella
che ci fa percepire il senso del nostro guardare.
Io quando
osservo un quadro, una scultura, una istallazione artistica sono consapevole di
affrontare una lettura. Proprio come un libro.
E di questo “libro”
sono i dettagli che mi intrigano, che dicono di me e della mia intimità
elettiva.
Se di un
libro mi limitassi all’attrazione retinica della copertina, delle dimensioni
del volume, mi sottrarrei al ri -significato che solo le frasi, le singole
parole, in altre parole i dettagli, mi permetterebbero di entrare in un altro e
nuovo luogo che è luogo di relazione.
La stessa
cosa avviene di fronte all’immagine. Se mi limitassi ad una visione d’ insieme,
superficiale e veloce, quel luogo di cui dicevo mi si chiuderebbe e
probabilmente la domanda del senso resterebbe inevasa.
Ebbene sono
proprio i dettagli che significano l’opera, quei piccoli luoghi in cui si apre
uno spazio che fagocita, che destabilizza: spesso non è terra sicura in cui si spera di approdare per dare sfogo alle proprie insicurezze.
Personalmente,
soprattutto da artista, sono i particolari di un’opera che, come un magnete
potente, mi attraggono e riconosco che la visione totale, d’insieme non è il
mio approccio primario.
Mi illudo di
osservare la totalità del dispiegamento dell’opera, ma è il dettaglio che in realtà
mi trovo a scrutare cogliendone la forza creativa che mi apre a nuovi spazi
espressivi.
Mi trovo
spesso a ripercorrere posture ridicole di fronte ai quadri e là dove la
situazione me lo consente, mi avvicino alla superficie con il naso quasi appiccicato
al quadro o scultura.
Ho visto
altre persone in simili situazioni e, al netto di chi ha problemi visivi
fastidiosi e imbarazzanti atteggiamenti, scopro una tribù di curiosi emotivi,
di ricercatori della percezione altra.
Lo sguardo
in sé non è il facilitatore della connessione, ma agisce una scomposizione del
mondo che conosciamo e percepiamo, liberando i dettagli e trasformandoli in una
altra storia ricca di immaginazione che ci parla dell’evento dell’opera, della
sua immanenza e grandezza.