Questo articolo propone una lettura comparativa tra l’opera di Alberto Burri e quella di Berlinde De Bruyckere alla luce del concetto di impermanenza. Attraverso l’analisi dei materiali, delle forme e delle poetiche della ferita, si mostra come entrambi gli artisti abbiano trasformato la vulnerabilità e la transitorietà della materia in dispositivo estetico e ontologico. Ne emerge una riflessione profonda sulla condizione umana, storica e postumana, che rende l’arte uno spazio attivo di memoria, trasformazione e sopravvivenza.
materia, tempo e ferita
L’arte contemporanea ha profondamente rinnovato la concezione della materia, del corpo e del tempo. A partire dalla seconda metà del Novecento, la superficie artistica non è più solo supporto visivo, ma campo d’azione dove la materia vive, soffre, si trasforma. In questa prospettiva, le opere di Alberto Burri (1915–1995) e Berlinde De Bruyckere (1964–) offrono due traiettorie emblematiche. Pur separati da generazioni e contesti, entrambi gli artisti condividono un approccio alla materia come corpo vulnerabile, in cui la ferita diventa forma e il tempo, traccia.
Il concetto di impermanenza, centrale nelle filosofie orientali ma anche nella riflessione estetica contemporanea, agisce qui non solo come tema, ma come principio strutturante dell’opera: la materia non è statica, ma soggetta a mutazione, consunzione, entropia. Come scrive Georges Didi-Huberman, «la ferita è una figura del tempo»¹ — una definizione che ben si adatta a entrambi gli autori trattati.
Alberto Burri: estetica della combustione
Medico di formazione e reduce della prigionia militare in Texas durante la Seconda Guerra Mondiale, Alberto Burri avvia la propria ricerca artistica nella Roma del dopoguerra, distinguendosi ben presto per l’uso radicale di materiali extra-pittorici: sacchi di juta, catrame, plastica, legno bruciato. La serie dei Sacchi (1949–1953) è forse l’esempio più noto di questo approccio. Le cuciture che uniscono lembi di tela lacerata evocano suture chirurgiche, segni di un corpo offeso e ricomposto².
Nei Cretti degli anni Ottanta, la materia pittorica viene portata all’estremo: la superficie si crepa, si essicca, si frantuma come terra arsa. Qui l’opera non rappresenta l’impermanenza, ma la vive: lo stesso processo di essiccazione e crettatura, favorito da specifiche miscele di caolino, vinavil e pigmenti, è soggetto al tempo e all’ambiente. Come ha osservato Germano Celant, Burri non cerca la rappresentazione del dolore, ma la sua presenza incarnata nella materia stessa³.
Berlinde De Bruyckere: la carne in mutazione
Se Burri lavora verso un’astrazione della materia, De Bruyckere insiste su un linguaggio figurativo trasfigurato, in cui la corporeità è al centro. Le sue sculture in cera, legno, tessuti e resina riproducono membra umane o animali in pose contorte, piegate, sospese. Corpi anonimi, spesso privi di volto, richiamano le iconografie cristiane del martirio, ma anche la vulnerabilità universale del vivente.
In Cripplewood (2012–13), esposta al Padiglione del Belgio alla Biennale di Venezia, un grande tronco d’albero è ibridato con tessuti, membra umane e bende: un corpo-arbusto che richiama la caduta, la mutazione, la possibilità della cura. Secondo lo storico dell’arte Philippe Van Cauteren, la scultura di De Bruyckere opera come «sintesi tra la sofferenza organica e quella simbolica»⁴.
A differenza di Burri, De Bruyckere costruisce un tempo sospeso, quasi liturgico. Le sue installazioni spesso assumono la forma di luoghi votivi, dove il dolore si fa memoria rituale. L’impermanenza è qui non solo decadimento ma trasformazione poetica, ciclo vitale che unisce umano, animale, naturale e spirituale
Ferita e trasformazione: due vie alla stessa verità
La dialettica tra ferita e forma attraversa l’opera di entrambi. Se per Burri la combustione è gesto e processo, per De Bruyckere è la cura a essere centrale: le sue sculture sono spesso fasciate, coperte, protette, come se volessero rallentare la dissoluzione. In entrambi i casi, però, l’opera non si presenta mai come oggetto stabile o eterno. Al contrario, è sempre soggetta a processi naturali di mutamento: lo scorrere del tempo agisce sulla cera, sulla juta, sulla plastica, sulla carne scolpita.
Questo atteggiamento si oppone frontalmente all’idea modernista dell’arte come oggetto perfetto e immutabile. Sia Burri che De Bruyckere propongono un’estetica impermanente, in cui l’arte è una presenza viva, che soffre, decade e si rinnova, proprio come i corpi che rappresenta.
Conclusione: materia, tempo, sopravvivenza
In un’epoca in cui il corpo è sempre più astratto, digitalizzato, disincarnato, le opere di Burri e De Bruyckere ci riportano alla verità primordiale della carne e della materia. Entrambi costruiscono un’arte che non nega la morte ma ne accetta il ruolo nella trasformazione del vivente. L’impermanenza diventa così linguaggio e destino: ciò che si deteriora, ciò che cambia, ciò che ferisce, è anche ciò che ci definisce come esseri umani.
Là dove Burri scava nella memoria storica e nella distruzione per astrarre la carne, De Bruyckere ci riconsegna una corporeità archetipica e rituale, fatta di pietà, metamorfosi e fragilità. In questo dialogo silenzioso, le loro opere testimoniano la possibilità che l’arte, nel suo confronto con la caducità, non solo registri la fine, ma inauguri una nuova forma di presenza.
Note
1. Didi-Huberman, G., La pelle delle immagini. Il tempo e la superficie nell’arte contemporanea, Einaudi, Torino, 2006.
2. Crispolti, E., Burri: critica e storia, De Luca, Roma, 1996.
3. Celant, G., "Materia e forma: Burri e la dissoluzione dell’immagine", in Alberto Burri, catalogo della mostra, Palazzo delle Esposizioni, Roma, 2009.
4. Van Cauteren, P., "Berlinde De Bruyckere. On the Wound and the Healing", in Cripplewood, Hannibal Publishing, 2013.p
Bibliografia essenziale
Celant, Germano. Alberto Burri: The Trauma of Painting. Guggenheim Museum, New York, 2015.
De Bruyckere, Berlinde. Embalmed. Snoeck Publishers, Gent, 2005.
Didi-Huberman, Georges. La pelle delle immagini. Einaudi, 2006.
Van Cauteren, Philippe (a cura di). Cripplewood. Hannibal, 2013.
Crispolti, Enrico. Burri. Catalogo ragionato. Skira, 2016.
Nancy, Jean-Luc. Corpus. Editions Métailié, 1992 (trad. it. Cronopio, 2002).
Agamben, Giorgio. Il corpo senza organi. Biopolitica e potere estetico. Quodlibet, 2015.