martedì 17 settembre 2024

DAMIANO racconto breve

 


Non piango spesso ma quella notte, attraverso i vetri sporchi del mio furgone, compresi. 

Quello che  vidi  difficilmente lo perdonerò.

Raggelato, non riuscì nemmeno ad abbassare le avvolgibili oscuranti e il viso si rigò di dense e feconde lacrime.

Era come avere la percezione dell’immanenza della fine del mondo.

Poco più in basso, verso la spiaggia, le luci blu delle macchine della polizia illuminavano la scena conferendo all’ambiente una freddezza surreale.

Il mare nero aveva restituito e deposto sulla spiaggia una ventina di miseri, inermi  corpi di immigrati che tentavano la fuga da un Paese ormai invivibile.

Una sciagura ormai ricorrente.

Io ero stato più fortunato o forse più scaltro, ma tempo fa la stessa sorte avrebbe potuto capitare a me.

Sono un sopravvissuto.

E mi fa male.

Intanto sulle spiagge africane continuavano ad arrivare gli immigrati clandestini che scappavano dalla Nuova Europa.

In un' Europa decadente, dilaniata dalla corruzione e dalla violenza, devastata da catastrofi naturali e conflitti politici, l'immigrazione clandestina si svolgeva in modo inverso.

L'immigrazione dall'Europa all'Africa era diventata una necessità per molti irriducibili non disposti a subire le ingiustizie della nuova Consulta di Conformità Europea.

Gli europei scoraggiati cercavano di fuggire verso l'Africa, un continente che ora offriva speranza e opportunità.

Donne, uomini e bambini scappati da un destino di  morte sicura .

Quelli che riuscivano a sopravvivere dopo l’incerta attraversata del Mediterraneo o ancora più a sud su posticce imbarcazioni.

Le multinazionali del farmaco e delle biotecnologie avevano preso il controllo assoluto sulle risorse e sulla salute delle persone, sfruttando la paura e la disperazione per imporre le loro politiche oppressive e lucrare sulle malattie che affliggevano l'umanità dopo i devastanti cambiamenti climatici.

Le ondate epidemiche si stavano susseguendo una dopo l’altra con forza distruttiva crescente, la crisi climatica si era acuita e nulla erano valse le scelte energetiche nucleari di ultima generazione per tamponare la crisi energetica.

Per far fronte a queste questioni si instaurò un regime autoritario europeo che aveva l’unico scopo protezionista dei privilegi delle fasce di reddito più elevate che potevano permettersi standard di vita superiori alla mera sopravvivenza.

L’egemonia degli Stati Uniti vacillava sempre di più da quando le ingenti risorse militari e non, vennero riutilizzate per la guerra interna che i potenti cartelli latino americani del traffico di droga aveva lanciato alla potente “democrazia mondiale”.

Ad est la situazione non era migliore: continue guerre territoriali depotenziavano le forze in gioco mentre le estrazioni dei combustibili fossili si erano diradate per mancanza di richiesta mondiale e gli Stati Arabi si stavano contraendo su sé stessi sterilizzando il loro influsso egemonico sull’area.

Questo era lo scenario mondiale al quale un crescente manipolo di ecoterroristi si stava opponendo.

Ora vivo, braccato su un furgone.

Spensi le luci per non vedere altro e soprattutto per non farmi scorgere.

All’indomani avrei dovuto farmi espiantare definitivamente il microchip  con geolocalizzazione che finora ero solo riuscito a farmi  disattivare illegalmente.

 

La dottoressa Helena Da Silva mi attendeva nel suo “studio” situato nella periferia di Luanda, la capitale angolese.

Luanda era  la città più ricca dell’africa centrale con i suoi centri commerciali cinesi, le vetrine di lussuosi gioiellieri arabi e soprattutto sede della Afrika Central Bank la banca principale dell’intera Africa.

Guidare per Luanda non dava l’impressione di essere in Africa.

Con i suoi giardini artificiali e caotici mercati artigianali di spezie, sebbene dotata di ampie strade stradali  percorse da pik up di grossa cilindrata e taxi con a bordo businessman cinesi, districarsi per le vie della città era una impresa non da poco.

Ad attendermi presso un distributore di benzina c’erano gli uomini di Helena che mi fecero lasciare il furgone e mi fecero salire in macchina con loro, dopo avermi perquisito a fondo.

Il viaggio in macchina durò un’ora circa e nel frattempo non volò una mosca tra noi, eccetto una breve  telefonata che fece uno dei due uomini.

Giungemmo presso un quartiere periferico degradato con molte case costruite a metà, con parecchi negozi che vendevano mercanzia varia e sudici bar frequentati essenzialmente da locali in ciabatte di gomma.

Se non fosse stato per l’informatore affidabile  che mi aveva messo in contatto con la dottoressa, difficilmente avrei frequentato zone simili di mia spontanea volontà.

I due uomini mi condussero all’entrata di un palazzo di pochi piani e al terzo mi fecero entrare in una stanza poco illuminata.

Mi accolse un collaboratore della dottoressa che mi portò da Helena.

Helena era una piacente donna sulla quarantina.

Jeans attillati e t-shirt bianca, capelli molto lunghi raccolti in una coda avviluppata attorno ad una bandana rossa.

Mi fece segno di sedermi su una sedia di metallo di fronte alla sua scrivania.

Chiuse il laptop e con voce profonda, da uomo  mi rivolse la parola.

« Benvenuto Damiano. Come ti trovi in Africa? Il nostro amico Santiago mi ha detto che sei arrivato da poco grazie ai compagni della Cellula di Resistenza  Europea. Sappi che qui sei tra amici fidati …»

« Grazie Helena. Devo ancora abituarmi al cibo e al clima, ma ti giuro che ho passato momenti peggiori »

« Sei hai bisogno di qualsiasi cosa puoi fare affidamento su di noi. Dopo ti forniamo un cellulare pulito e sicuro cosi che tu non possa essere tracciato. Adesso se sei pronto, possiamo parlare dell’espianto »

« Sono qui per questo. Spero che non sia molto doloroso e lungo l’intervento »

« Non ti preoccupare. Sono una neurochirurga e ho l’attrezzatura necessaria. Utilizzo un bio estrattore clonato di ultima generazione, senza il quale sarebbe impossibile enucleare il micro Gps che ti hanno installato. Se non sbaglio è già stato disattivato e l’operazione, che durerà dieci minuti  sarà effettuata con un anestetico locale. Non morirai  sotto i ferri , te lo giuro. Ho estratto decine di questi marchingegni senza nessuna complicazione »

« Il micro controller l’ho disattivato due anni fa circa …sarei pronto, allora… »

« Un’ ultima cosa. Problemi con l’uso di sostanze in passato? »

« Non direi. Saltuariamente tetra-metanfetamine ben tollerate e qualche volta mescalina piramidale di ultima generazione…»

«Durante l’estrazione allora potresti avere dei fenomeni di flash back improvvisi. Spariranno come sono venuti, tranquillo. Il mio assistente ti sta aspettando nella sala sterile per prepararti. Intanto ingoia un paio di queste mentre io ti raggiungo tra una decina di minuti »

Ingoiai le pastiglie che mi dette Helena e mi avviai nell’altra stanza.

« Si accomodi su questa sedia Damiano. Dovrò  radere una porzione di capelli dietro l’orecchio destro. I capelli ricresceranno » disse lo stesso uomo che mi accolse  all’entrata.

Il ronzio del rasoio elettrico che mi sfiorava la nuca mi indusse una certa sonnolenza, dovuta probabilmente all’antidolorifico che stava già facendo effetto.

Entrò la dottoressa, che ora indossava un camice bianco e guanti di latex sterili. Si consultò con l’uomo e gli impartì degli ordini. Prese una siringa e la riempi con un liquido azzurro.

« Ora ti somministro localmente  un po’ di Codeina sintetica. Sentirai un leggero formicolio nella zona interessata. »

Sentii l’ago penetrare sotto la pelle e dopo qualche secondo il formicolio incominciò a manifestarsi come aveva detto.

Il collaboratore passò uno strano strumento chirurgico alla dottoressa, la quale lo ispezionò con cura applicando una sorta di ago nuovo estratto da una confezione di plastica.

L’ uomo disinfettò l’intera area del cranio e subito dopo sentii un ferro freddo circolare che premeva sulla pelle.

« Adesso introduco la parte pilota dell’ Extration . Sentirai come una leggera scossa elettrica e poi un senso di vertigine intensa. Se ti viene da vomitare cerca di trattenere tutto. Abbiamo appena pulito il tappeto…» rispose sorridendo la dottoressa.

Sentii una spiacevole scossa elettrica e poi solo il ronzio pneumatico dell’aggeggio che si era messo in moto.

La dottoressa si avvicinò all’oculare e manovrò con delicatezza l’estrattore.

« Individuato. Sembra un vecchio modello della Soback. Potrebbe darti un po’ di fastidio . Stai fermo il più possibile »

A poco a poco il cervello incominciò a ribaltarsi.

Pensai a Glenda per non vomitare.

Al suo carattere solare e trascinante.

Un corpo  atletico e scattante, implacabile tutto nervi e muscoli costruito attorno ad un’anima gentile ed accogliente.

Solo qualche mese fa  la Brigata Ribelle era stata completamente sterminata sul campo, durante una azione per liberare i compagni imprigionati nella Nuova Fortezza.

Di sicuro una soffiata.

 Una manciata di uomini e donne scelte uccisi in una imboscata con i droni ad infrarossi delle milizie della Nuova Europa.

Tutti morti: i miei migliori amici.

E Glenda.

Il senso di colpa della mia responsabilità circa l’organizzazione della tentata irruzione mi straziava.

 

Improvvisamente un raggio sottile di luce verde  si formò dietro i miei occhi chiusi che mi provocò  una contrazione muscolare dello stomaco.

Effetti della tetra che mi ero fatto in passato.

Tentai di tornare nuovamente su Glenda ed effettivamente mi rilassai.

«Ci siamo , ancora qualche secondo…»

Avverti come mi si lacerasse qualcosa nel cranio, ma non avvertii dolore.

Segui un forte risucchio pneumatico.

« Fatto…»

Mi rattristai pensando che Glenda non aveva potuto liberarsi definitivamente del suo controller.

Ma forse ora mi sta osservando, da qualche fottuto punto dello spazio e avrà capito che tutto questo era in definitiva anche per lei.

Almeno così speravo.

Il collaboratore mi diede due punti di sutura ed applicò un cerotto trasparente.

Helena intanto ripuliva l’estrattore con un delle garze sterili.

« Puoi stenderti per un paio una oretta e vedo se tutto fila liscio. »

Stavo per rispondergli che sarei anche andato quando bussarono alla porta con tenacia.

Helena e l’uomo si scambiarono una fugace occhiata e repentinamente Helena estrasse da dietro il camice una Glock G43 modello vecchio e l’altro un Uzi Israeliano automatico  di ultima generazione.

Mi aspettavo l’inferno.

« Helena apri…sono Fernandez. Abbiamo un compagno da ricucire. »

La dottoressa guardò l’assistente, il quale abbassando l’arma sorrise obliquamente.

È così che conobbi parte della squadra africana del Comitato Clandestino di Liberazione.

Helena, Paco, Fernandez, Giuditta e i sui due figli Ector e Victoria, il Dottore e Igor.

Incominciai a sentirmi a mio agio in quella parte di mondo.

Un mondo che aspettava solo di essere aggiustato.

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