Non piango spesso ma quella notte, attraverso i vetri sporchi del mio furgone, compresi.
Quello che vidi difficilmente lo
perdonerò.
Raggelato,
non riuscì nemmeno ad abbassare le avvolgibili oscuranti e il viso si rigò di dense
e feconde lacrime.
Era come
avere la percezione dell’immanenza della fine del mondo.
Poco più in
basso, verso la spiaggia, le luci blu delle macchine della polizia illuminavano
la scena conferendo all’ambiente una freddezza surreale.
Il mare
nero aveva restituito e deposto sulla spiaggia una ventina di miseri, inermi
corpi di immigrati che tentavano la fuga da un Paese ormai invivibile.
Una
sciagura ormai ricorrente.
Io ero
stato più fortunato o forse più scaltro, ma tempo fa la stessa sorte avrebbe
potuto capitare a me.
Sono un
sopravvissuto.
E mi fa
male.
Intanto
sulle spiagge africane continuavano ad arrivare gli immigrati clandestini che
scappavano dalla Nuova Europa.
In un'
Europa decadente, dilaniata dalla corruzione e dalla violenza, devastata da
catastrofi naturali e conflitti politici, l'immigrazione clandestina si
svolgeva in modo inverso.
L'immigrazione
dall'Europa all'Africa era diventata una necessità per molti irriducibili non
disposti a subire le ingiustizie della nuova Consulta di Conformità Europea.
Gli europei
scoraggiati cercavano di fuggire verso l'Africa, un continente che ora offriva
speranza e opportunità.
Donne,
uomini e bambini scappati da un destino di morte sicura .
Quelli che
riuscivano a sopravvivere dopo l’incerta attraversata del Mediterraneo o ancora
più a sud su posticce imbarcazioni.
Le
multinazionali del farmaco e delle biotecnologie avevano preso il controllo
assoluto sulle risorse e sulla salute delle persone, sfruttando la paura e la
disperazione per imporre le loro politiche oppressive e lucrare sulle malattie
che affliggevano l'umanità dopo i devastanti cambiamenti climatici.
Le ondate
epidemiche si stavano susseguendo una dopo l’altra con forza distruttiva
crescente, la crisi climatica si era acuita e nulla erano valse le scelte
energetiche nucleari di ultima generazione per tamponare la crisi energetica.
Per far
fronte a queste questioni si instaurò un regime autoritario europeo che aveva
l’unico scopo protezionista dei privilegi delle fasce di reddito più elevate
che potevano permettersi standard di vita superiori alla mera sopravvivenza.
L’egemonia
degli Stati Uniti vacillava sempre di più da quando le ingenti risorse militari
e non, vennero riutilizzate per la guerra interna che i potenti cartelli latino
americani del traffico di droga aveva lanciato alla potente “democrazia
mondiale”.
Ad est la
situazione non era migliore: continue guerre territoriali depotenziavano le
forze in gioco mentre le estrazioni dei combustibili fossili si erano diradate
per mancanza di richiesta mondiale e gli Stati Arabi si stavano contraendo su
sé stessi sterilizzando il loro influsso egemonico sull’area.
Questo era
lo scenario mondiale al quale un crescente manipolo di ecoterroristi si stava
opponendo.
Ora vivo,
braccato su un furgone.
Spensi le
luci per non vedere altro e soprattutto per non farmi scorgere.
All’indomani
avrei dovuto farmi espiantare definitivamente il microchip con geolocalizzazione che finora ero solo
riuscito a farmi disattivare
illegalmente.
La
dottoressa Helena Da Silva mi attendeva nel suo “studio” situato nella
periferia di Luanda, la capitale angolese.
Luanda
era la città più ricca dell’africa
centrale con i suoi centri commerciali cinesi, le vetrine di lussuosi
gioiellieri arabi e soprattutto sede della Afrika Central Bank la banca
principale dell’intera Africa.
Guidare per
Luanda non dava l’impressione di essere in Africa.
Con i suoi
giardini artificiali e caotici mercati artigianali di spezie, sebbene dotata di
ampie strade stradali percorse da pik
up di grossa cilindrata e taxi con a bordo businessman cinesi, districarsi
per le vie della città era una impresa non da poco.
Ad
attendermi presso un distributore di benzina c’erano gli uomini di Helena che
mi fecero lasciare il furgone e mi fecero salire in macchina con loro, dopo
avermi perquisito a fondo.
Il viaggio
in macchina durò un’ora circa e nel frattempo non volò una mosca tra noi,
eccetto una breve telefonata che fece
uno dei due uomini.
Giungemmo
presso un quartiere periferico degradato con molte case costruite a metà, con
parecchi negozi che vendevano mercanzia varia e sudici bar frequentati
essenzialmente da locali in ciabatte di gomma.
Se non
fosse stato per l’informatore affidabile
che mi aveva messo in contatto con la dottoressa, difficilmente avrei
frequentato zone simili di mia spontanea volontà.
I due
uomini mi condussero all’entrata di un palazzo di pochi piani e al terzo mi
fecero entrare in una stanza poco illuminata.
Mi accolse
un collaboratore della dottoressa che mi portò da Helena.
Helena era
una piacente donna sulla quarantina.
Jeans
attillati e t-shirt bianca, capelli molto lunghi raccolti in una coda
avviluppata attorno ad una bandana rossa.
Mi fece
segno di sedermi su una sedia di metallo di fronte alla sua scrivania.
Chiuse il
laptop e con voce profonda, da uomo mi
rivolse la parola.
« Benvenuto Damiano. Come ti
trovi in Africa? Il nostro amico Santiago mi ha detto che sei arrivato da poco
grazie ai compagni della Cellula di Resistenza
Europea. Sappi che qui sei tra amici fidati …»
« Grazie Helena. Devo ancora
abituarmi al cibo e al clima, ma ti giuro che ho passato momenti peggiori »
« Sei hai bisogno di qualsiasi
cosa puoi fare affidamento su di noi. Dopo ti forniamo un cellulare pulito e
sicuro cosi che tu non possa essere tracciato. Adesso se sei pronto, possiamo
parlare dell’espianto »
« Sono qui per questo. Spero
che non sia molto doloroso e lungo l’intervento »
« Non ti preoccupare. Sono una
neurochirurga e ho l’attrezzatura necessaria. Utilizzo un bio estrattore
clonato di ultima generazione, senza il quale sarebbe impossibile enucleare il
micro Gps che ti hanno installato. Se non sbaglio è già stato disattivato e
l’operazione, che durerà dieci minuti
sarà effettuata con un anestetico locale. Non morirai sotto i ferri , te lo giuro. Ho estratto
decine di questi marchingegni senza nessuna complicazione »
« Il micro controller l’ho
disattivato due anni fa circa …sarei pronto, allora… »
« Un’ ultima cosa. Problemi
con l’uso di sostanze in passato? »
« Non direi. Saltuariamente tetra-metanfetamine
ben tollerate e qualche volta mescalina piramidale di ultima generazione…»
«Durante l’estrazione allora potresti avere dei fenomeni di flash back improvvisi. Spariranno come sono
venuti, tranquillo. Il mio assistente ti sta aspettando nella sala sterile per
prepararti. Intanto ingoia un paio di queste mentre io ti raggiungo tra una
decina di minuti »
Ingoiai le
pastiglie che mi dette Helena e mi avviai nell’altra stanza.
« Si accomodi su questa sedia
Damiano. Dovrò radere una porzione di
capelli dietro l’orecchio destro. I capelli ricresceranno » disse lo stesso uomo che mi
accolse all’entrata.
Il ronzio
del rasoio elettrico che mi sfiorava la nuca mi indusse una certa sonnolenza,
dovuta probabilmente all’antidolorifico che stava già facendo effetto.
Entrò la
dottoressa, che ora indossava un camice bianco e guanti di latex sterili. Si
consultò con l’uomo e gli impartì degli ordini. Prese una siringa e la riempi
con un liquido azzurro.
« Ora ti somministro
localmente un po’ di Codeina sintetica.
Sentirai un leggero formicolio nella zona interessata. »
Sentii
l’ago penetrare sotto la pelle e dopo qualche secondo il formicolio incominciò
a manifestarsi come aveva detto.
Il
collaboratore passò uno strano strumento chirurgico alla dottoressa, la quale
lo ispezionò con cura applicando una sorta di ago nuovo estratto da una
confezione di plastica.
L’ uomo
disinfettò l’intera area del cranio e subito dopo sentii un ferro freddo
circolare che premeva sulla pelle.
« Adesso introduco la parte
pilota dell’ Extration . Sentirai come una leggera scossa elettrica e
poi un senso di vertigine intensa. Se ti viene da vomitare cerca di trattenere
tutto. Abbiamo appena pulito il tappeto…» rispose sorridendo la
dottoressa.
Sentii una
spiacevole scossa elettrica e poi solo il ronzio pneumatico dell’aggeggio che
si era messo in moto.
La
dottoressa si avvicinò all’oculare e manovrò con delicatezza l’estrattore.
« Individuato. Sembra un
vecchio modello della Soback. Potrebbe darti un po’ di fastidio . Stai
fermo il più possibile »
A poco a
poco il cervello incominciò a ribaltarsi.
Pensai a
Glenda per non vomitare.
Al suo
carattere solare e trascinante.
Un
corpo atletico e scattante, implacabile
tutto nervi e muscoli costruito attorno ad un’anima gentile ed accogliente.
Solo
qualche mese fa la Brigata Ribelle era
stata completamente sterminata sul campo, durante una azione per liberare i
compagni imprigionati nella Nuova Fortezza.
Di sicuro
una soffiata.
Una manciata di uomini e donne scelte uccisi
in una imboscata con i droni ad infrarossi delle milizie della Nuova Europa.
Tutti
morti: i miei migliori amici.
E Glenda.
Il senso di
colpa della mia responsabilità circa l’organizzazione della tentata irruzione
mi straziava.
Improvvisamente
un raggio sottile di luce verde si formò
dietro i miei occhi chiusi che mi provocò
una contrazione muscolare dello stomaco.
Effetti della tetra
che mi ero fatto in passato.
Tentai di
tornare nuovamente su Glenda ed effettivamente mi rilassai.
«Ci siamo , ancora qualche
secondo…»
Avverti
come mi si lacerasse qualcosa nel cranio, ma non avvertii dolore.
Segui un
forte risucchio pneumatico.
« Fatto…»
Mi
rattristai pensando che Glenda non aveva potuto liberarsi definitivamente del
suo controller.
Ma forse
ora mi sta osservando, da qualche fottuto punto dello spazio e avrà capito che
tutto questo era in definitiva anche per lei.
Almeno così
speravo.
Il
collaboratore mi diede due punti di sutura ed applicò un cerotto trasparente.
Helena
intanto ripuliva l’estrattore con un delle garze sterili.
« Puoi stenderti per un paio una oretta e vedo se tutto fila liscio. »
Stavo per
rispondergli che sarei anche andato quando bussarono alla porta con tenacia.
Helena e
l’uomo si scambiarono una fugace occhiata e repentinamente Helena estrasse da
dietro il camice una Glock G43 modello vecchio e l’altro un Uzi Israeliano
automatico di ultima generazione.
Mi
aspettavo l’inferno.
« Helena apri…sono Fernandez. Abbiamo un compagno da ricucire. »
La dottoressa guardò l’assistente, il quale abbassando l’arma sorrise
obliquamente.
È così che conobbi parte della squadra africana del Comitato Clandestino
di Liberazione.
Helena, Paco, Fernandez, Giuditta e i sui due figli Ector e Victoria, il
Dottore e Igor.
Incominciai a
sentirmi a mio agio in quella parte di mondo.
Un mondo che
aspettava solo di essere aggiustato.
Nessun commento:
Posta un commento